“Fame di storie”, il catalogo di foto e brevi testi di Gianni Minà edito da Nicolucci
Un racconto per immagini della vita del giornalista di cui tutti invidiavano l’agenda. Un progetto della Fondazione Gianni Minà.
Ancora una volta un editore partenopeo si pone come latore di proposte fuori dagli schemi: stiamo parlando di “Fame di storie (pagg. 290, euro 26; Roberto Nicolucci editore)” un catalogo di foto e brevi testi di Gianni Minà reso possibile grazie all’opera della Fondazione omonima ispirata al grande giornalista torinese.
Sei partizioni: “Lo sport”, ”Il cinema”, “La musica”, “La politica”, “La società civile” – raccontano la storia di una vocazione – quella al giornalismo – che Gianni Minà iniziò al “Tuttosport” del maestro napoletano Antonio Ghirelli che gli insegnò come condire i pezzi di cronaca. Dal 1958 in avanti Minà dimostrò di essere un vero giornalista, “ossia un ponte tra un fatto e le persone che deve servire ad acquisire coscienza critica, che tanto manca al nostro Paese in questo ultimi tempi”.
Minà con la vicenda di Maradona – umana e professionale – capì che il calcio andava disumanizzandosi a vantaggio di un marketing aggressivo ed impersonale: “devo essere felice per giocare al meglio (Diego Armando Maradona)”. Minà non dimenticò mai la lezione di Ghirelli e Zavoli ed anche quando cadde in disgrazia alla Rai – essendo sempre stato anche lì una seconda scelta – vergò programmi come Blitz che era una sorta di riserva indiana da terza pagina di tutto ciò che non interessava il mainstream dell’uomo medio da “Domenica in”.
Minà fu il primo a fare interi programmi sul cinema ed a capire la vera grandezza di Sergio Leone al di là del genere western. Federico Fellini, Eduardo De Filippo, Muhammad Alì, Robert De Niro, Jane Fonda, Gabriel García Márquez, Enzo Ferrari sfilavano nelle sue interviste, mentre la sera a Roma Minà andava in giro con Franco Califano. Vinicius De Moraes gli dava modo di conoscere Ungaretti e mentre Pietro Mennea faceva il suo 19.72 a Città del Messico i TG Rai – contatati dal giornalista – non ritennero la notizia meritevole della riapertura di un giornale a tarda notte.
Un’Italia giornalistica che non c’è più e che forse ha resistito fino ad Angelo Guglielmi che fu quello che si oppose con un suo redattore affinché non tagliasse la famosa intervista a Fidel Castro – giugno del 1987 -, “ma sempre più capivo che quando la notizia potesse suonare politicamente scorretta alle orecchie degli ipocriti e dei riformisti” anche una certa sinistra la avversava “ogni volta che si sfioravano, per esempio, interessi politici degli Stati Uniti”.
Solo il Sudamerica consegnò alla ribalta mondiale la bravura di Minà come cercatore di storie e di legami tra le persone.