Fotografie da lettere da fotografie. Cosa resterà di noi, le nostre immagini o le nostre parole?
Sul velo leggerissimo di tulle è stampato il ritratto fotografico di un volto femminile. Sugli altri veli, appesi come questo a un filo, sono invece ricamate delle frasi in corsivo. Un potente faro da teatro proietta le ombre dei teli sul muro bianco retrostante. Ma, con una certa sorpresa, ti accorgi che le parole si stampano virtualmente sul muro, mente il profilo di quel volto è svanito, evaporato, resta solo il grigiore della trama.
Con la forza della metafora visiva, Yvonne De Rosa sembra volerci convincere di questo, che le parole resteranno, le immagini no. Che ci sopravviveranno i pensieri e non le apparenze. E questa, detto da una fotografa, è una conclusione che fa meditare parecchio.
Ma la sua non è una affermazione astratta. È la conclusione di una ricerca poetica. Personalmente, adoro il modo in cui Yvonne, artista napoletana, fotografa di qualità, riesce a subordinare la propria creazione di immagini a progetti che mescolano la ricerca d’archivio, la risemantizzazione di immagini trovate, la storia, i sentimenti. Lo aveva già fatto con A mia madre, recupero delle tracce di vita degli ufficiali mandati a morire nella cosiddetta Grande Guerra. Lo fa ora, in questo suo nuovo Corrispondenze, passando dalla guerra alla pace, almeno alla pace delle armi, non certo a quella dei sensi.