Nella storia di Solimena il romanzo dell’arte napoletana
Riedita in un’eccellente veste tipografica la monografia del 1958 scritta da Ferdinando Bologna sul pittore seicentesco.
Chiude l’anno la riedizione della monografia di Francesco Solimena di Ferdinando Bologna, libro cruciale sul quale abbiamo più o meno tutti affilato i ferri del mestiere. Rimesso in gioco da uno studioso di talento, Roberto Nicolucci, il Solimena, senza corredo iconografico ma a un prezzo più che onesto, merita un applauso per tante ragioni. Non ultima l’eccellente veste tipografica.
Marsicano di nascita e temperamento, napoletano di adozione, Bologna vi si accinse poco più che trentenne. Ogni paragrafo di questo volume sei e settecentesco, ormai introvabile, fu letto e fatto vidimare a interlocutori e compagni di strada. La storia dell’arte la si faceva condividendola. In collina a Napoli, Capodimonte era aperto da pochi mesi (con la benedizione di Roberto Longhi che del riordinamento della pinacoteca rimane il principale ispiratore). E, in stagioni di ricostruzione, un pugno di quartieri fece da laboratorio a musei, saggi e cataloghi meritevoli di arricchire il bottino letterario del dopoguerra.
Il romanzo moderno di Napoli è anche in queste pagine finite di stampare nell’estate del 1958. Dove s’incontrano il ’600 napoletano reinventato da Longhi (a cominciare dall’adorato vernacolo barocco di Giordano, protagonista della porzione iniziale); e dove s’incontra Francesco; dove si misurano i muscoli del conoscitore che Bologna ha allenato nella palestra di «Paragone» (la rivista di Longhi di cui fu subito redattore); e rimbalzano echi di letture varie ma coerenti (Vasari e De Dominici a profusione e molto ’800 e primo ’900 di marca veristica, tra De Roberto e Francesco Jovine).
Infine, nella seconda parte, il critico formalista procura, così smarcandosi dall’egida longhiana, il salto di livello verso una storia dell’arte come storia della cultura. Nella premessa Nicolucci mette subito sull’avviso: siamo su una macchina che viaggia a due velocità. La posta in gioco è più alta che un pur notevole riesame della scena vicereale e borbonica. Quanto a noi, aspettiamo solo di vedere il volume nelle mani di quanti, tra gli studenti di oggi, sospettino che la storia dell’arte non cominci e finisca con Caravaggio.